Grafologia Olistica

Grafologia

Il dono di Thot, la scrittura

Autore: M. Gabriella Sanvito

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“Ho udito dunque che nei pressi di  Naucrati d’Egitto c’era uno degli antichi dèi locali,  di nome Theuth, al quale appartiene anche l’uccello sacro chiamato Ibis.

Fu appunto questo dio a inventare il numero e il  calcolo, la geometria e l’astronomia e, ancora,  il gioco del tavoliere e quello dei dadi, e specialmente la scrittura.

Regnava a quel tempo su tutto l’Egitto Thamus, che risiedeva nella grande città dell’Alto Egitto che i greci chiamano Tebe e  il cui dio chiamano Ammone.

Recatosi dal re, Theuth gli mostrò le sue arti e disse che bisognava diffonderle fra gli altri Egizi.

Quello allora gli domandò quale utilità avesse ciascuna, e mentre Theuth gliela spiegava, il re criticava una cosa,  ne lodava un’altra, a seconda che gli paresse detta bene o male.

Si dice che Thamus abbia espresso a Theuth molte osservazioni sia pro che contro ciascuna arte, ma riferirle sarebbe troppo lungo.

Allorché venne alla scrittura,  Theuth disse: ‘Questa conoscenza, o re, renderà gli egizi  più  sapienti e più capaci di ricordare: è stata infatti trovata come medicina per la  memoria e per la  sapienza’.

Ma quello rispose: ‘Ingegnosissimo Theuth, c’è chi è capace di dar vita alle arti, e chi invece di giudicare quale danno e quale vantaggio comportano per chi se ne servirà.

E ora  tu, che sei il padre della scrittura, per benevolenza hai detto il contrario di ciò che essa è in grado di fare.

Questa infatti, produrrà dimenticanza nelle anime di coloro che l’avranno imparata, perché non fa esercitare la  memoria.

Infatti, facendo affidamento sulla scrittura, essi trarranno  i ricordi dall’esterno, da segni estranei, e non dall’interno, da se stessi.

Dunque, non hai inventato una medicina per la memoria, ma per richiamare alla memoria ai discepoli tu procuri una parvenza di sapienza, non la sapienza vera. Divenuti, infatti, grazie a te, ascoltatori di molte cose senza bisogno di insegnamento, crederanno di essere molto dotti. Mentre saranno per lo più ignoranti, e difficili da trattare, essendo diventati saccenti invece che sapienti.” (Fedro, 274 d- – 275 b).

L’introduzione della scrittura nelle società civili viene attribuita, nella maggior parte dei miti, all’intervento di un dio.

La scrittura entra sia nell’ambito dell’espediente tecnico sia in quello della scienza, fondate, entrambe, sulla sapienza.

Ma mentre il dio possiede la sapienza, l’uomo deve accontentarsi di amarla. E spesso accade che “l’amore non si accontenta della mera contemplazione, ma vuole il possesso della cosa amata”.

Eros, il figlio di Povertà ed Espediente, non è un dio, ma è un “daimon”. Un essere sospeso tra cielo e terra. Un demone dell’amore, diverso dagli esseri bruti che abitano la terra, ma, nello stesso tempo troppo lontano dalla perfezione divina.

Eros vuole la perfezione che non possiede, come sua madre Povertà, e per supplire a questa mancanza, cerca di utilizzare le tecniche, gli espedienti.

Uno di questi espedienti è la scrittura, la quale rende l’uomo simile al Demiurgo. Il Demiurgo trasforma il Chaos in Cosmo attraverso l’ utilizzo di un numero finito di segni grafici, costituendo infine, l’universo ordinato.

Anche Platone, nel passo del Fedro su citato, ricorda il mito della nascita della scrittura ad opera di un dio. E nel far ciò aggiunge il rimprovero rivolto da Socrate a Fedro e a tutti gli altri giovani ateniesi troppo fiduciosi nelle tecniche del linguaggio scritto.

Socrate, infatti, è “il filosofo che non affida il proprio insegnamento alla scrittura”. Egli rimanda a quel tempo in cui la Sapienza abitava fra gli uomini.

Il tempo in cui questo nostro  mondo era soffuso di quel silenzio che solo consente al mito di essere ascoltato.

E in cui la parola divina era  affidata allo stormire delle fronde, alla risacca delle onde, al gorgoglio di una fonte.

Segni dell’ineffabile, simboli, richiami, evocazioni della ineludibile coincidenza fra la vita e la divinità”.

Platone dà una definizione ambigua e contraddittoria dell’arte della scrittura. Infatti vediamo nel Fedro che essa è una tecnica illusoria, inganno, strumento fuorviante.

La storia di Thot è “il simbolo di un’idea. Lo scritto uccide nel pensiero l’attività viva della memoria”. La scrittura supplisce alla pigrizia della memoria, è un aiuto esterno che ci disabitua allo sforzo.

Il progresso dell’ istruzione è dovuto ad una cultura adatta a chi deve riceverla e che presuppone un rapporto diretto di quest’ultimo con il maestro che gliela impartisce.

La scrittura, di contro, non asseconda questo progresso, crea l’illusione di un sapere facilmente acquisito e che dunque per questo, con delle fondamenta non sufficientemente solide.

Platone giudica con severità anche la pittura, ritenendola un inganno visivo che ci fornisce la fallace apparenza della realtà viva.

Le figure rappresentate dalla pittura non sono vive, in realtà la pittura rappresenta davanti i nostri occhi una vita morta, le figure, nel momento in cui vengono interrogate restano immobili e silenziose.

La stessa sorte tocca alla scrittura: crediamo di trovarvi un pensiero vivo, in realtà una volta interrogata, la scrittura si ripete o tace. La scrittura è incapace di discernere a chi deve rivolgersi e a chi no, dunque può capitare nelle mani di chiunque.

Per concludere, nel momento in cui viene attaccato, lo scritto non può difendersi da solo, “… c’è un aspetto strano che in verità accomuna scrittura e pittura – afferma Socrate nel Fedro – le immagini dipinte ti stanno davanti come se fossero vive, ma se chiedi loro qualcosa, tacciono solennemente.

Lo stesso vale anche per i discorsi. Potresti avere l’impressione che essi parlino, quasi abbiano la capacità di pensare, ma se chiedi loro qualcuno dei concetti che hanno espresso, con l’intenzione di comprenderlo, essi danno una  sola risposta e sempre la stessa.

Una volta che sia stato scritto poi, ogni discorso circola ovunque, allo stesso modo fra gli intenditori, come pure fra coloro con i quali non ha nulla a che fare, e non sa  a chi deve parlare e a chi no.
E se  è maltrattato e offeso a torto, ha sempre bisogno dell’aiuto dell’autore, perché non è capace né di difendersi né di aiutarsi da solo”(Fedro, 275 e).

Il contrario avviene con la parola viva.

La parentela tra parola viva e scrittura e il comune nome di “discorso” con cui entrambe vengono designate possono confonderci,  “ma lo scritto è il figlio bastardo del pensiero”.

La scrittura è un passatempo passeggero del pensiero che occasionalmente si diletta con esso.

Ma non sempre è così, spesso il libro è un mezzo per ricordare, infatti vediamo, nelle ultime opere di Platone, degli scritti upomnematici , destinati, cioè, a ricordare agli allievi alcune lezioni di scuola.

E questa interpretazione potrebbe essere estese anche ad altre opere come il Fedone.

Indubbiamente la maggior parte delle opere di Platone ricordava all’autore l’occasione in cui erano state scritte, dunque costituiscono anche testimonianze dell’attività produttrice del suo pensiero di cui si rallegrerà durante la sua vecchiaia “… ma i giardini della scrittura, a quanto sembra, li seminerà e li scriverà per divertimento.

E quando li scriverà sarà per fare tesoro di ricordi sia per sé, qualora giunga alla vecchiaia, età della smemoratezza, sia per chiunque seguirà le sue stesse orme…” (Fedro, 276 d).

Ma se ci limitiamo alla prospettiva esposta nel Fedro, il dono di Thot assume la forma di uno dei più perfidi benefici donati dal dio, un qualcosa che frena l’ambizione umana di raggiungere il limite che li separa dagli dei per essere essi stessi dei.

Infatti, gli uomini, impadronitisi della scrittura, credono di poter aumentare le proprie capacità fino a diventare simili agli immortali.

Mentre è proprio tramite la scrittura che essi perdono quel sottile filo che li legava alla divinità.

La verità del sapere è sostituita con la mera apparenza del conoscere.

Diversamente, nel Timeo Platone si chiede come funziona il principio di ordinamento, cioè come il Chaos si trasforma in cosmo.

Il principio è il Logos, il Verbo, la parola ordinatrice che utilizza le stesse tecniche della scrittura. Quest’ultima prende dei segni grafici e li utilizza quali lettere dell’alfabeto.

Si mettono insieme delle serie finite di lettere con cui si formano delle parole.

Con queste parole si costruiscono delle frasi che messe insieme, costituiscono i discorsi.

La stessa tecnica utilizza il Demiurgo, utilizzando come segni grafici due sole figure geometriche, il triangolo rettangolo scaleno e il triangolo rettangolo isoscele.

Quindi due sole lettere dell’alfabeto, con cui, secondo Platone, l’ Intelletto del Dio Ordinatore mise ordine nel Chaos.


Padre Girolamo Moretti

Autore: M. Gabriella Sanvito

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In italia si afferma la grafologia di Padre Girolamo Moretti.

La differenza fondamentale tra P. Moretti e gli altri grafologi è che egli non parte dalla psicologia per arrivare alla grafologia ma, viceversa, parte dalla grafologia per fare della psicologia.

Questo significa che egli può liberamente raccogliere tutti i dati psicologici che scaturiscono dall’espressione grafica.

Obiettivo fondamentale per Moretti è quello di comprendere l’uomo nella sua individualità unica e irripetibile.

Proprio questo lo ha sempre trattenuto dal formulare schemi e classificazioni che avrebbero potuto ingabbiare la persona in una impostazione nomotetica.

Secondo il padre della grafologia italiana, fra tutti gli atteggiamenti umani, un valore aggiunto è da attribuire alla scrittura.

In quanto essa è considerata un’espressione libera dai condizionamenti volontari che permette di risalire alle caratteristiche psichiche dominanti e particolari dell’individuo.

La scrittura consente di cogliere l’individuo nel suo movimento interiore, nelle sue pulsioni, nella sua creatività, nelle sue tendenze e attitudini.

La grafia viene considerata la proiezione fedele e istantanea dell’identità di ogni singolo individuo.

Ecco perché Moretti tiene in considerazione, più che la forma, il gesto grafico.

Inoltre, il Moretti analizza ogni segno nel suo valore simbolico senza sganciarlo dal suo contesto.

Questo perché la persona non è la somma di varie qualità intellettive o tratti temperamentali, ma un composto vitale individuale e soggettivo.

Gli altri grafologi si limitarono ad affermare che non basta la semplice analisi dei singoli segni, ma è necessaria la combinazione tra loro, misurandone la frequenza.

Moretti va oltre elaborando un metodo che combina  i segni tra loro e ne misura l’intensità attraverso il loro valore quantitativo espresso in decimi.

Quindi egli considera il movimento psichico e grafico quantificando le energie che producono tale movimento. Per giungere così a capire dove tale movimento conduce e cosa produce.

Il metodo grafologico morettiano si distingue per tre aspetti fondamentali: per le impostazioni oggettiva, strutturale e idiografica.

Quando parliamo di metodo oggettivo intendiamo dire che se anche l’intuizione psicologica è un fattore molto importante, essa deve essere preceduta da una valutazione quantitativa del valore dei singoli segni grafici.

Proprio per questo l’esame grafologico si compone di due fasi, quella dell’analisi e quella della sintesi (dimensioni, quella della quantità e della qualità, che troviamo anche nelle analisi psicologiche, sia per quanto riguarda la psicologia dell’individuo che quella sociale).

Per quanto riguarda la grafologia di Moretti, l’analisi consiste nel cogliere l’aspetto esteriore dei segni, suddivisi in sostanziali, modificanti e accidentali, e determinarli in base al loro grado sulla base di un personale sistema di misurazione decimale.

Accanto a questa fase di analisi, troviamo la fase della sintesi, aspetto propriamente psicologico fondato sull’intuizione che permette di combinare i vari simboli per pervenire ad un significato globale.

L’impostazione strutturale permette di sganciare la grafologia morettiana dalla teoria dei “segni fissi” di Michon.

Ciascun segno non può essere incastrato in un solo significato.

In quanto ogni segno “ acquista un determinato valore solo in funzione degli altri segni presenti.

I segni, tuttavia, dovranno essere isolati per poter subire un’analisi; e ricombinarli non vuol dire fare una semplice addizione, ma operare una sintesi, cioè pervenire ad un’unità nuova”.

L’impostazione idiografica, la terza ed ultima impostazione, è quella che permette di individuare l’autore di uno scritto in maniera unica ed inconfondibile, senza inserirlo in classificazioni e tipologie.

Queste caratteristiche peculiari della grafologia morettiana riassumono  il pensiero di P. Moretti.

Egli  “ha concepito con superba intuizione e a mezzo di minuziose e pazienti ricerche un nuovo sistema di grafologia. Esso del tutto originale, spoglio d’influenze esotiche, distinguendosi soprattutto per l’intima connessione con cui è legato alla psicologia moderna, per il procedimento di analisi adottato, per la razionale classificazione usata ed infine per il metodo sperimentale adoperato prima di formulare una regola, può ben dirsi italiano”.

https://accademiadelcaos.altervista.org/padre-girolamomoretti


Dalla scrittura alla grafologia

Autore: M. Gabriella Sanvito

Con la nascita della scrittura la trasmissione della cultura cambia modalità, la tradizione orale, ormai scritta, diventa permanente.
La scrittura è ora espressione e strumento di una nuova concezione del mondo.

Il diffondersi della scrittura richiedeva un insegnamento in quanto si tratta di una tecnica di codificazione del linguaggio.

Per cui nacquero le prime forme di istruzione istituzionalizzata e trasmessa da personale qualificato.

Ma inizialmente la scrittura  era privilegio di pochi, era legata al potere.

Infatti coloro i quali erano in grado di leggere e scrivere si trovava in una posizione di grande privilegio.

Pensiamo agli scriba, i quali erano i soli detentori delle tecniche della scrittura, tecniche custodite gelosamente. Essi mettevano la propria conoscenza al servizio del potere laico e religioso.

Con la nascita della scuola l’istruzione diventa un’attività intenzionale e organizzata, l’istruzione diviene “il processo di trasmissione di un complesso di conoscenze selezionate e strutturate in programmi e come l’insieme delle tecniche e dei mezzi per attuare tale processo.

Lo scopo è l’acquisizione da parte degli individui di determinate conoscenze e tecniche per assicurare ad un gruppo sociale la sua continuità e identità nel tempo”.

Quindi si comprende bene quale importanza abbia avuto la nascita e lo sviluppo della scrittura nella evoluzione dell’istruzione, costituendo la pietra miliare della cultura.

Diffondendosi sempre più, l’istruzione divenne pubblica, l’antica Roma ebbe un effetto di notevole espansione della cultura nel mondo occidentale.

Fu l’imperatore Adriano il primo a pagare i maestri con denaro pubblico, ed a creare la prima Università, l’Atheneum Romano.

La seconda Università fu voluta da Costantino nel 425 a Costantinopoli.

In Oriente era prevista la formazione universitaria per gli insegnanti.

Quando l’Impero Romano d’Occidente cadde, nel 476, fu invaso dai barbari, anche l’istruzione cadde in declino, infatti scomparvero le scuole pubbliche, rimasero quelle private sotto il controllo esclusivo della Chiesa.

Da un lato la Chiesa riuscì a evitare la scomparsa della cultura, dall’altro represse lo sviluppo delle scienze subordinandole alla Bibbia e quindi alla teologia.

I monaci erano grandi scrivani che si dedicavano, oltre alla preghiera, alla riproduzione di testi sacri e di testi di cultura generale, un lavoro che richiedeva precisione, pazienza e una grande passione che divenne in seguito l’arte dello scrivere.

Non si trattava più di ricercare il segno grafico e la sua corrispondenza fonetica, ma esclusivamente una ricerca calligrafica.

Nei secoli successivi, con la diffusione delle Università,   aumenta il commercio laico dei libri, una volta superate le crisi dei secoli XII e XIV, i Concili Lateranensi stabilirono delle disposizioni per lo sviluppo dell’istruzione attraverso le istituzioni scolastiche.

Come la scrittura anche l’istruzione si evolve con varie tappe nel corso della storia dell’umanità.

Altra tappa fondamentale, nel corso della storia dell’umanità dalla nascita della scrittura in poi, fu la nascita della stampa a caratteri mobili ad opera di Gutenberg, nel 1437.

Questa scoperta fece sì che la diffusione della conoscenza fosse garantita su larga scala, in quanto ora vi erano due modalità di esecuzione, quella manuale e quella meccanica.

Il libro assunse una funzione diversa, da semplice oggetto di lusso divenne strumento di studio, anche se fu mantenuto largamente l’uso della scrittura a mano.

Con la nascita dell’istruzione e dunque della scolarizzazione della scrittura, nasce in maniera spontanea la grafologia intesa come  interpretazione del rapporto grafia-personalità.

Infatti furono molti gli studiosi, tra cui filosofi, religiosi, medici, che studiarono la grafia in modo sistematico tenendo nella dovuta considerazione tutti gli aspetti del comportamento grafico e cercando di stabilire delle costanti.

È così che inizia il cammino della grafologia come scienza.

I primi ad interessarsi di questa scienza furono tre professori universitari, Alderisio di Napoli che scrisse, nel 1611, il saggio “Ideographicus nuntius”, il “Messaggero ideografico”; Camillo Baldi, professore all’università di Bologna scrisse, nel 1622 “Trattato come da una lettera missiva si conoscano la natura e la qualità di uno scrittore”; Marco Aurelio Severino di Napoli che scrisse, nel 1656 “Vaticinator, sive tractatus de divinatione litterali”, “L’indovino, ovvero trattato sull’interpretazione delle lettere”.

Di maggior rilievo le opere di autori successivi come lo svizzero J.K. Lavater, il francese J. Moreau de la Sarthe, il tedesco J.A.Grohmann.

Un ulteriore sviluppo della grafologia in direzione sperimentale si ha con Edouard Hocquart.

L’abate francese Jean Hyppolite Michon (1806 – 1881) conia il termine scientifico  “grafologia”.

Egli elaborò il primo metodo di studio sistematico della grafologia, un sistema organico di studio psicologico della scrittura.

Il suo maggior merito è quello di aver stabilito dei principi e delle leggi che rendono la grafologia una “scienza ragionata”.

Inoltre egli fondò “La Graphologie”, il periodico ancora oggi più qualificato del mondo e quello più conosciuto e diffuso nel mondo.

Altri furono gli studiosi che si occuparono di grafologia.

In Francia Jules Crépieux-Jamin, allievo di Michon, nonostante si basi  anch’egli, come il Michon, sulla psicologia del movimento, rimane comunque all’interno della psicologia analitica.

La grafologia tedesca fu rappresentata dal filosofo e psicologo Ludwig Klages.

Per Klages la scrittura rappresenta “il segno permanente e oggettivo del movimento personale dello scrivente”.

Questo segno fisso è tanto personale che in tutti i popoli del mondo la firma è riconosciuta come segno infallibile dell’autenticità della persona.

Ed è proprio questo che fa della scrittura il mezzo principale nello studio del carattere.

Max Pulver (1889 – 1952),  grafologo svizzero, elabora un proprio metodo.
Tale metodo consiste nel considerare il valore simbolico dello spazio grafico in cui si muove la scrittura.
La scrittura considerata come simbolo della manifestazione dell’Io verso il Tu ed anche espressione della vita interiore.

Max Pulver tiene conto, oltre che del carattere soggettivo e personale che si può cogliere in ogni gesto espressivo dell’uomo, anche delle energie ereditate, dell’influenza dell’educazione e dell’ambiente.

Infine, in Italia, Padre Girolamo Moretti pubblicò la sua opera più importante  nel 1948 “Trattato di grafologia”.

In questa opera  egli esordisce con queste parole: “Fin da bambino tutto quello che si riferisce all’uomo fu per me argomento di osservazione (…).

La mia vocazione intellettiva era la psicologia nella più ampia concezione (…).

Non è il semplice segno grafologico che mi indirizza, ma la combinazione di tutti i segni grafici di una scrittura che mi determina alla comprensione di una personalità psichica e somatica.

E la combinazione grafologica non è altro che combinazione psicologica”.


La grafologia nella prevenzione e nella rieducazione della devianza

Autore: M. Gabriella Sanvito

La grafologia nella prevenzione e nella rieducazione della devianza. 

Scopo della società non è solo quello di individuare i criminali e punirli, ma anche quello di operare una forma di prevenzione e di rieducazione del criminale stesso.

Questo  per recuperare quelle individualità deviate e riportarle ai valori della società.

O meglio ancora, evitare, sin dall’origine, con la prevenzione, che delle individualità possano trasformarsi in criminali.

Le due prospettive programmatiche che concorrono nello sviluppo delle scienze sociali, pedagogiche e psicologiche, sono la prevenzione del delitto e la rieducazione del delinquente.

I risultati delle ricerche svolti in questi campi hanno evidenziato la forte e reciproca influenza “dei fattori ambientali e dei connotati psichici della personalità nelle sindromi delinquenziali”.

L’anti-socialità del comportamento, la devianza, che caratterizza tutte le manifestazioni criminali, è il risultato di una serie di condizioni familiari, educative, sociali, economiche.

Queste condizioni sono  soggettivamente negative ed interagiscono con strutture individuali particolarmente recettive.

Ma la negatività non deve sempre essere assimilata alla povertà, ad una educazione autoritaria, o al sentimento di inferiorità dovuta allo status sociale.

Anzi, classificare in maniera statica in queste categorie può portare solo ad influenzare, a distorcere l’opinione pubblica.

E quindi accrescere la possibilità che tali situazioni possano costituire il substrato reale ed addirittura la causa principale del crimine.

Infatti sono proprio questi stereotipi a creare la convinzione, negli individui, che questo sia il loro destino e che nulla possa cambiarlo.

Tuttavia non è così.  Anche una condizione di agiatezza economica, una forma di educazione permissiva e l’appartenenza ad uno status sociale rispettabile, possono condurre al delitto perché “soggettivamente negative”.

In cosa consiste la tendenza criminale? Sicuramente non in stereotipi classificabili, o in una tipologia specifica di interazioni tra fattori psicologici e ambientali predeterminate.

Essa consiste nelle modalità individuali in cui si attua tale interazione.

Quando parliamo di tendenza ci riferiamo alla possibilità che un soggetto, il quale presenti una predisposizione a rischio disadattivo, può trovare delle condizioni ambientali le quali, insieme alle esperienze del vissuto personale, possono maturare dei requisiti idonei al contenimento della tendenza, senza ripercussioni, senza rischi, incanalando la tendenza stessa, quindi la potenziale pericolosità  rimuovendola senza danni.

Ma non sempre avviene ciò. Infatti, a causa di una interazione negativa tra il soggetto con temperamento difficile, ed un ambiente ostile, può aumentare la reazione di disagio.

Aumenta il rischio degenerativo per cui il soggetto può sconfinare nella devianza, cioè, in comportamenti anti sociali.

La condotta deviante è oggetto di studio da parte di varie discipline. Tra queste vi è la criminologia che  si occupa in particolare di quelle situazioni devianti sfociate in condotta criminale.

L’aspetto forse più affascinante della criminologia è proprio quella della definizione dei profili criminologici.

Ciò consiste nel costruire, da parte del criminologo, partendo dal modus operandi del criminale sconosciuto, un identikit psicologico che aiuti a restringere il campo dei sospetti, per pervenire infine , ad identificare il colpevole.

Ma quando ci troviamo di fronte un caso criminale, obbligatoriamente ci troviamo di fronte un uomo. Un uomo con la sua individualità, con il suo vissuto, con la sua condizione di vita che spesso riflette un disturbo di personalità.  “ Una situazione psicomentale che è sfociata in azioni devianti a seguito di un tipo di sviluppo che ha portato il soggetto a discostarsi dalla norma”.

Altro elemento oggetto di studio è quello della responsabilità. “… Uno degli interessi principali della psichiatria nei confronti della criminalità, dei disturbi mentali e del pazzo criminale, riguarda il problema della responsabilità dell’accusato per l’atto criminoso commesso”.

Pur essendo vero che i soggetti disturbati nella personalità non sono perseguibili, è pur vero che non possono essere lasciati liberi di sfogare i propri istinti.

Tuttavia è difficile limitare il campo della responsabilità o della non responsabilità.

“…La responsabilità (…) non è un dato che possa essere misurato come una funzione psicologica.

La responsabilità è in primo luogo una funzione della socializzazione.

In relazione all’età e al tipo di trasgressione cambiano solo le modalità pratiche di convinzione, dissuasione, punizione ecc.. Il che peraltro ha una notevole rilevanza sotto molti aspetti”.

Ovviamente la mancanza di responsabilità non può essere la scusante per una riduzione di pena o per altre facilitazioni.

Facilitazioni  che permettano al soggetto deviante ed anche pericoloso, di ritornare in società a rischio di ulteriori crimini.

Ma è necessario che a tali soggetti sia data la possibilità di una riabilitazione che li aiuti ad un reinserimento sano nella società.

Soprattutto è necessario che essi non siano relegati in strutture simili lager, ma in strutture professionali adatte a tale scopo.

E spesso il carcere non è il luogo adatto per una riabilitazione.

Anzi, potrebbe essere controproducente in quanto spesso, l’ambiente carcerario potrebbe aggravare la situazione caricando i soggetti con altri problemi.

Padre G. Moretti così scrive: “…L’uomo è primieramente e principalmente un individuo: se ciò è vero, la psicologia (che è la scienza dell’uomo) non può essere vera psicologia se non si riferisce all’uomo come individuo, perché soltanto come individuo deve rispondere delle sue azioni dal momento che soltanto come individuo ne è responsabile”.

Importante è l’analisi delle componenti socio – economico – culturali accanto ad un’analisi del profilo psicologico della persona.

Questo per poter arrivare a mettere in rilievo i fattori che provocano l’insorgenza della tendenza a delinquere.

Quindi a capire quali metodi operativi – educativi possono favorire la rieducazione del criminale con il suo successivo reinserimento nella società.

I compiti per raggiungere tale scopo sono  ben distribuiti tra il sociologo ed il grafologo.

Il sociologo studia l’influenza della società, dell’impatto ambientale.

Il grafologo svolge il suo lavoro di analisi sull’individuo ponendo l’attenzione sui potenziali punti di frattura.

In questo lavoro di collaborazione si chiarisce l’eziologia e la sintomatologia della manifestazione criminale nel soggetto.

Interagendo tra loro nei rispettivi ambiti di lavoro, gli scienziati potranno proporre un piano di recupero. Piano di recupero che preveda modifiche da apportare all’ambiente.

Con aspetti personali da rafforzare o sui quali far leva per reindirizzare l’individuo verso la reintegrazione.

Ciò vale anche per la prevenzione. Operando in anticipo con un piano educativo adatto al singolo individuo che dovesse manifestare tendenze “soggettivamente negative”.

Nell’ambito delle scienze umane si è concordi nell’affermare che ogni individuo ha delle caratteristiche sue proprie che lo rendono unico.

L’impostazione di base di ognuno può essere più o meno equilibrata.

Ma esistono tendenze a rischio che possono manifestarsi a seconda della interazione tra le tendenze innate del soggetto e la sua storia socio-familiare.

Qui assumono un ruolo importante le esperienze personali, il modo in cui esse vengono vissute, filtrate e generalizzate.

Esistono due mondi in noi, nell’individuo umano, coscienza e istinto, in costante rapporto fra di loro.

Da questo rapporto dipende la gestione del nostro comportamento, il nostro equilibrio, la qualità della nostra vita.

Quando si parla di soggetto deviante si è spinti a cercare quegli elementi che aiutino a capire questo fenomeno partendo dalla specificità dell’individuo.

Si studiano il vissuto, il disagio originario, seguendolo nell’evoluzione in disadattamento per giungere infine ad un comportamento deviante.

“La devianza, la criminalità, non sono caratteristiche proprie di alcun comportamento umano; non sono l’espressione diretta di nessun tipo di personalità. (De Leo: “L’interazione deviante”, introduzione).

Il comportamento e la personalità possono divenire socialmente devianti.

Ciò avviene in rapporto all’esistenza di investimenti di attribuzioni di carattere simbolico e istituzionale, orientati in maniera selettiva su di essi.

Per lo studio dei fenomeni devianti, il paradigma eziologico è fuorviante e inutilizzabile, anche quando fa riferimento a cause sociali, economiche, ambientali”.

De Leo si occupa della devianza in modo approfondito.

Dai suoi studi ne ricava la consapevolezza che la personalità deviante non debba essere trattata come semplice entità psicologica, ma come processo psicologico, normativo e sociale.

L’azione deviante è un “pretesto, uno stimolo che avviene dentro una discussione già in corso”.

La personalità deviante è il risultato di una serie di aspetti. Aspetti che toccano l’individuo, il suo temperamento, le sue tendenze e la sua storia oltre al contesto e agli eventi.

Afferma Bisio: “La maggior parte degli autori più moderni sono dell’opinione che ogni fenomeno criminoso sia l’espressione di un complesso di fattori causali, individuali e ambientali, strettamente collegati tra di loro”.

Il soggetto potrebbe trovarsi nella realtà del carcere in cui lo ha condotto la sua devianza.

O nella realtà rieducativa  o altre strutture in cui il soggetto viene riconosciuto come persona con problemi di comportamento.

Potrebbe trattarsi anche di un soggetto  in età evolutiva, che inizia a manifestare segnali di disagio nella realtà familiare e scolastica.

Accade spesso che problemi di origine familiare o socioculturale causino turbe nel comportamento del soggetto.

Tale soggetto  commette azioni devianti che lo conducono al carcere, quando invece sarebbe necessaria una struttura specifica.

E il carcere, anche il migliore, è sempre un luogo in cui viene negato il maggiore dei diritti dell’uomo: la libertà.

Nel carcere si verificano fattori come perdita della individualità, promiscuità, coabitazione forzata, livellamento di abitudini.

In carcere la violenza non è solo fisica ma anche, anzi, soprattutto morale.

Il soggetto costretto al carcere, se non ha una forte personalità, tende ad abbattersi , ad abbandonarsi, a perdere interesse per le cose, ad identificarsi con il gruppo. Diventa un oggetto psicofisico. Quotidianamente la legge del carcere viene solo parzialmente compensata dalla legge della solidarietà, anch’essa prodotto spontaneo del carcere stesso.

È dunque evidente l’importanza che assumono le varie figure professionali che operano all’interno della realtà del carcere.

La professionalità degli operatori penitenziari, degli educatori, degli assistenti sociali, degli psicologi, della polizia penitenziaria e degli assistenti volontari.

Come già accennato sopra, alla realtà carcere conducono diversi problemi legati alla famiglia, alla scuola, alla educazione, alla cultura, alla società.
La devianza è un processo di deterioramento progressivo della personalità.

Ecco perché è importante un discorso improntato alla prevenzione in età evolutiva del soggetto.

Proprio per evitare che dei disagi iniziali possano compromettere l’evoluzione intera del soggetto, tutelando così il soggetto stesso e la società.

Purtroppo spesso, inevitabilmente ed inconsapevolmente, si creano ghetti, associazioni in cui i soggetti vi si ritrovano schiacciati e quindi impossibilitati alla costruzione della propria identità.

Proprio questo atteggiamento nei confronti di tali soggetti, porta a creare confusione e a perdere di vista il soggetto. Soggetto che ha bisogno di aiuto psicologico, di sostegno, di un’educazione che lo possa stimolare, indirizzare nel modo corretto verso l’integrazione sociale. O comunque su una strada che possa neutralizzare dei rischi.

Ecco perché la psichiatria è sempre più interessata ed orientata all’individuo in età evolutiva, soprattutto nell’adolescenza.

L’originalità della grafologia consiste nella sua capacità di offrire un quadro dell’individuo nel suo complesso.

Nelle sue caratteristiche e nelle sue tendenze che sono proprie ed unicamente del soggetto in esame.

Differenziare le situazioni affinché i provvedimenti presi per prevenire, riabilitare, reinserire in società e il trattamento psicologico siano adattati all’individuo in esame.

Ed è proprio l’uomo, il soggetto, a fornire informazioni circa la  sua impostazione costituzionale e la dinamica della sua personalità.

Ciò avviene tramite il suo tracciato grafico, quindi in modo spontaneo e senza intenzione,

La grafologia può essere un ottimo supporto in tutti quei casi in cui il soggetto è protagonista di azioni devianti.

Azioni quali l’omicidio, il suicidio, le deviazioni sessuali, le forme mitomani, che corrispondono a stati alterati della personalità.

Ma è anche vero che può essere applicata, la grafologia, laddove l’azione deviante viene compiuta da soggetti che non possono essere definiti mentalmente “malati”.

“Non esiste una relazione precisa tra criminalità e disturbi mentali. Sebbene i criminali, come gruppo, presentino una maggiore incidenza di disturbi psichiatrici dei non criminali.

Molti studi hanno evidenziato che un certo grado di ritardo mentale si trova con frequenza sorprendentemente alta nei carcerati” .

Interessante il lavoro di ricerca svolto da Isabella Zucchi, psicologa, psicoterapeuta e consulente grafologa.

La Zucchi, attraverso l’esame delle grafie dei detenuti ha potuto constatare “…che sono frequenti alterazioni della concezione del sé, provocate da una gonfiatura degli ideali dell’ Io in senso spavaldo e trasgressivo, non di rado anche in senso aggressivo per la carica di risentimento accumulato”.

E continua. “…Spesso,  dalla grafia di quei soggetti che giungono al carcere in conseguenza dei loro disturbi di personalità, si rilevano indici di un contesto umano che presenta problematiche nella gestione della propria emotività e della condotta istintiva, impulsività disordinata, insicurezze e ansie non riconosciute dal soggetto, tendenze mitomani, immaturità nello sviluppo affettivo, pensiero carente o mancante di oggettività nel valutare, forte influenzabilità e suggestionabilità, conflitti irrisolti con l’autorità paterna, di solito associati a dipendenza affettiva verso la figura materna”.

La grafologia permette di raggiungere, attraverso un tracciato grafico, l’individuo che ha prodotto tale tracciato.

Questo lo può fare in un  momento evolutivo e formativo della sua vita, nel suo stato e dinamismo psichico.

Soprattutto quando vi siano delle condizioni di disagio, di sofferenza, di devianza.

Essa permette di penetrare nella situazione particolare dell’individuo dal punto di vista dell’uomo e della sua umanità individuale.

Molto importante è riuscire a non inquadrare l’individuo a seconda del disturbo,  ma ad inquadrare il disturbo a seconda dell’individuo.

Anche in soggetti portatori di handicap la cosa importante, quando il soggetto riesca ad esprimersi graficamente, è riuscire a conoscerne l’individualità  prescindendo dal problema.

In ogni ambiente in cui si sviluppa e vive l’individuo, famiglia,  scuola, carcere o altre strutture, la grafologia aiuta a non ridurre il soggetto ad un numero, ad un quadro sintomatologico, ad un gruppo, ad un alunno o ad un componente il nucleo familiare. Essa aiuta a  mantenere la sua individualità.

Essa è un arricchimento alla visione dell’uomo che vuole essere sempre più olistica.

L’uomo non è un insieme di parti ma è un sistema dinamico che costituisce una totalità organizzata.

Scrive il Moretti: “…La vera psicologia deve non contentarsi di classificare, ma deve arrivare a mettere a nudo le particolarità personali dell’individuo, deve trovare conclusivamente quelle qualità che sono individualizzanti in modo che, dal suo lavoro, ne esca l’individuo”.

L’applicazione della grafologia nello studio della devianza è dunque una delle possibilità di servizio all’uomo, “…la causa determinante può essere nata con il soggetto stesso, e questo quando la tendenza alle anomalie psichiche è forte o complessa.

Questi soggetti difficilmente riescono ad evitare il ricovero in una casa di salute.

Le anomalie patologiche direttamente colpiscono le facoltà affettive attive che ne sopportano tutto il peso.

L’intelligenza viene colpita come partecipante e, quindi, ne subisce le conseguenze tanto da apparire alle volte la facoltà più menomata.

Se però l’intelligenza riesce ad impegnare l’individuo in una attività consona alle sue tendenze e quindi al soggetto piacevole, può scongiurare la determinazione delle anomalie” .

Da queste parole deduciamo che secondo il Moretti, tramite la grafologia si possono individuare le predisposizioni dell’individuo allo scompenso.

Scompenso legato alle strutture di base e alle dinamiche dello sviluppo della personalità.

Ciò al fine di  fornire agli educatori quegli elementi necessari ad indirizzare l’intelligenza del soggetto.

In modo che quest’ultimo possa orientarsi nel modo più adeguato alla manifestazione delle sue capacità e al contenimento della predisposizione critica.

Ecco il valore fondamentale dell’educazione come mezzo di prevenzione nel processo di sviluppo della personalità umana.

Importante è eseguire uno screening riguardante lo sviluppo cognitivo, comunicativo e socio-affettivo dei bambini.  Importante l’osservazione della dinamica grafomotoria, in quanto favorisce la conoscenza psicologica e comportamentale del bambino.

Informazioni utili sia ai  genitori che agli insegnanti che potranno intraprendere un percorso educativo che rispetti il temperamento e le tendenze del bambino.

Svolgendo, contemporaneamente, una funzione di prevenzione sia a livello di formazione del carattere sia di supporto ai processi di apprendimento.

Individuando eventuali fattori di rischio evolutivo che possano predisporre a situazioni di disagio e di disadattamento.

L’educazione che un soggetto riceve “ deve avere quelle qualità necessarie per disporre il soggetto medesimo ad accettarla.

Questa educazione (passiva) deve avere lo scopo di far sì che il soggetto si determini alla educazione attiva.

Poiché la passiva non potrà mai essere vera educazione se non passa nell’attiva, cioè, se non viene adottata dall’educando”.

E’ importante “tener presente che il carattere di ciascun individuo deve essere preso di mira fin dai primordi dell’infanzia, perché è dall’infanzia che deve incominciare l’educazione”.

Scopo della grafologia è quello di individuare le predisposizioni individuali in tempi precoci, non per operare una sorta di classificazione.

Ma per permettere un’educazione mirata al soggetto.

Educazione in grado di sollecitare le qualità e di orientare nel modo corretto l’intelletto per permettergli di contenere e gestire le tendenze critiche.


Grafologia
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La grafologia dell’età evolutiva

Autore: M. Gabriella Sanvito

La grafologia può “avere un utile impiego e presentare degli aspetti interessanti per il problema pedagogico della conoscenza degli educandi”.

E’ dunque corretto affermare che “la grafologia delle scritture infantili meriterebbe (…) uno studio particolare”.

Le basi di tale studio particolare sono state già poste dal Moretti il quale si è occupato, nelle sue ricerche,  anche di questo settore di applicazione della grafologia.

Ma cosa dobbiamo intendere con grafologia pedagogica, così come la chiama il Moretti, o anche grafologia dell’età evolutiva.

Sicuramente tale grafologia si occupa dell’analisi delle scritture dei ragazzi.

Ovviamente vi sono dei principi su cui deve basarsi la grafologia.

Essa tiene conto del fatto che le grafie appartenenti ad individui che si trovano in fase di crescita, non hanno raggiunto la maturità grafica che contraddistingue la scrittura degli adulti.

Quindi non ci sarà, una maturità grafica tale da fornire elementi per la descrizione della personalità,  ancora in via di sviluppo, che sia esaustiva.

Infatti per l’analisi di una scrittura in età evolutiva è necessario tener conto anche di altri elementi.

Elementi quali lo sviluppo grafomotorio del soggetto, la maturazione del sistema nervoso, muscolare, la coordinazione occhio-mano, lo sviluppo della conoscenza legato alla capacità di riprodurre, per imitazione,  ciò che vede inizialmente, poi le lettere dell’alfabeto.

Tutto ciò segue un percorso di sviluppo progressivo, graduale.

I bambini, dal momento della nascita, interagiscono con il mondo esterno attraverso esperienze sensoriali tattili, gustative, in seguito con esperienze motorie e visive.

Successivamente iniziano a creare i primi segni grafici, gli scarabocchi che man mano si evolvono con la stessa evoluzione del bambino.

Conoscere il linguaggio grafico del bambino significa poter comunicare con il bambino stesso. Analizzando i suoi scarabocchi e prendendo in esame alcuni elementi in particolare, quali la pressione, l’occupazione dello spazio sul foglio, il tratto, la forma.

Crescendo il bambino abbandona lo scarabocchio, il disegno, per imitare i gesti grafici degli adulti, entrando così, in una fase prealfabetica.

In maniera graduale impara a legare tra loro i segni grafici e i suoni del linguaggio, nella fase fonetica. Continuando, così come fecero i nostri antenati, passa da una fase sillabica che unisce ogni lettera ad una sillaba, ad una fase prealfabetica alla fine della scuola materna.

Possiamo dunque affermare che la grafologia è un ottimo supporto nella conoscenza dell’individuo che si trova ancora in età evolutiva.

I criteri da applicare potranno essere gli stessi, ma tenendo conto, appunto, di quella peculiarità legate alla fascia d’età.

E questa peculiarità è data dal fatto che nel fanciullo si verificano solo certi segni, così come afferma il Moretti.

Ciò significa che “lo studio genetico della scrittura, lo sviluppo della scrittura con l’età non mostra questa eterogeneità (tra adulto e fanciullo), ma una trasformazione graduale della scrittura del fanciullo che si evolve poco a poco per diventare quella dell’adulto”.

Per concludere possiamo dire che la grafologia può essere applicata alla scrittura di fanciulli ed adulti. Ma nel primo caso bisogna tener ben presente che il bambino, il fanciullo e l’adolescente, anche grafologicamente, necessitano di una metodologia che tenga conto delle individualità di ciascuno rispettando le peculiarità dell’età evolutiva.

Ed è proprio in quest’ottica che si pone la grafologia morettiana.

Essa appare come quella più idonea proprio per la sua costante attenzione ad individualizzare l’analisi grafologica delle personalità in ogni periodo dello sviluppo.


La Polizia indaga…

Foto di bluebudgie da Pixabay

Autore: Eugenio Cantanna

Il termine “Grafologia” fa rima con il termine “Polizia”.

In effetti, sebbene alla grafologia sia stato riconosciuto valore scientifico solo da pochi decenni, di fatto l’analisi grafologica viene utilizzata già da molto tempo nelle indagini di Polizia Giudiziaria.

Ma sarà opportuno differenziare la grafologia intesa come studio della personalità del soggetto scrivente attraverso l’esame del tratto grafico, dalla perizia grafologico/forense che presuppone la profonda conoscenza delle leggi che regolano il flusso dei grafemi.

L’accettazione e la conoscenza delle leggi grafologiche e l’adesione ad un metodo di analisi oggettivo, diventano garanzia di controllabilità e ripetibilità.

Pertanto, in tema di indagini di Polizia Giudiziaria, trova molto spesso asilo la perizia grafologico /forense intesa come studio del gesto grafico che permette di associare una specifica grafia ad un unico soggetto fisico rispetto alla “Grafologia “.

Chiaramente la tecnologia aiuta molto gli specialisti della materia, alcuni dei quali lavorano stabilmente presso gli uffici della Direzione Centrale della Polizia Scientifica del Dipartimento della Pubblica Sicurezza.

Basti pensare al microscopio elettronico,che ha soppiantato quello tradizionale, o altri strumenti come la lampada di Wood.

Ma sarà opportuno non dimenticare che in un passato non molto lontano il nostro Paese ha dovuto affrontare movimenti terroristici interni che erano soliti rivendicare le loro azioni scellerate con comunicati solitamente scritti con strumenti meccanici.

La triste esperienza degli anni di piombo ha permesso di affinare tecniche investigative sempre più raffinate che, giustamente, non si limitavano all’analisi delle caratteristiche morfologiche dei singoli grafemi, ma prendeva in esame altri elementi di assoluta importanza come la distribuzione del testo sul foglio, l’ampiezza dei margini e molto altro.

Tutto ciò ha permesso di risolvere molti casi giudiziari e di rivelare elementi di continuità tra sodalizi criminosi.

Per concludere, si può affermare senza timore di essere smentiti che il “matrimonio” tra grafologia e attività di polizia è destinato a diventare sempre più solido e che le competenze e la professionalità raggiunta dagli investigatori in campo grafologico forense troveranno sempre maggiore campo di applicazione nella lotta alle emergenze criminali del terzo millennio.

A cura di Eugenio Cantanna

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